“Cos’è un essere umano?” – L’entità delle comprensioni derivate dalle ricerche avvenute nelle ultime decadi ed ancora in corso, sul significato evolutivo delle esperienze del concepimento, della gravidanza e della nascita, giustificano il bisogno di una formulazione nuova e appassionante del concetto antropologico di “essere umano”.
Potremmo immaginare ancora oggi di essere influenzati da una sensazione vissuta quando eravamo nel grembo di nostra madre?
Questo potrebbe sembrarci assolutamente impossibile poiché sono passati così tanti anni e non abbiamo assolutamente memoria di quel periodo, ma recenti studi scientifici interdisciplinari evidenziano uno stretto collegamento tra le nostre vite da adulti e gli imprinting occorsi nell’ambito del concepimento, della nascita e del periodo perinatale.
Durante la gestazione potremmo aver vissuto dolore senza aver avuto i mezzi cognitivi per riconoscerlo poiché i circuiti corticali e della memoria esplicita non erano ancora disponibili, in quegli stadi le eventuali difficoltà vissute potrebbero aver plasmato e modificato l’intera fisiologia del nostro organismo.
In questo senso i nuovi sviluppi della ricerca dimostrano la naturale convergenza di due discipline fino a pochi anni fa considerate distinte come la Psicologia e la Biologia.
Le esperienze occorse dal concepimento, alla gestazione, fino alla nascita e ai primi stadi dell’attaccamento informano le sequenze dei cicli cellulari di differenziazione e sviluppo a livello genetico, informano l’ontogenesi (Probst et al. 2009) fino a modellare le strutture e le funzioni del sistema nervoso autonomo, sulle quali si erigeranno la salute e la struttura di personalità degli individui e le dinamiche sociali delle comunità.
Il termine epigenetica la cui etimologia deriva dal greco epì – “sopra” e genetikòs – “relativo all’eredità familiare”, fu coniato dal biologo C.H. Waddington nel 1942. Alla luce delle attuali ricerche questo termine indica oggi modificazioni ereditabili dell’espressione del genoma (fenotipo) che si verificano senza cambiamenti nella sequenza del DNA (genotipo). La qualità, la durata nel tempo e l’intensità delle esperienze e degli stimoli ambientali possono cambiare le configurazioni dei geni inibendone o attivandone il potenziale di trascrizione attraverso l’azione di processi biochimici in cui si ha l’aggiunta di gruppi metilici o acetilici.
E’ importante chiarire che la metilazione è un meccanismo naturale e fondamentale che permette di regolare l’espressione differenziale dei geni, solo un eccesso di questo fenomeno può essere disadattivo e generare patologie.
Il gruppo metile entra in azione quando vi è un evento in cui vi è una sofferenza forte da parte della madre in gravidanza, la sofferenza del feto giunge ad un certo livello in cui le altre modalità di adattamento non sono più possibili e sembra avere la funzione di inscrivere una memoria cellulare attaccandosi alla citosina, una delle cinque basi che compongono i nucleotidi del DNA (acido desossiribonucleico) e dell’RNA (acido ribonucleico). L’imprinting del dolore con la metilazione interagisce con il codice genetico dell’individuo bloccando l’espressione di una parte di esso. Contemporaneamente i gruppi metile ed acetile attaccati agli istoni, proteine che permettono la conformazione elicoidale del DNA, possono interferire con la replicazione dello stesso e modificare l’espressione appropriata di alcuni ormoni o neurotrasmettitori essenziali per la salute, il metabolismo di base e l’equilibrio psicologico della persona.
Effetti della regolazione delle emozioni e dello stress nei primi stadi della vita
L’imprinting è una memoria legata all’ambiente intrauterino in cui il feto prende forma e ai primi stadi della vita, in base ad eventi chiave avversi avvenuti nell’ambito del concepimento o nel periodo perinatale. Essa è innescata a livello biochimico, genetico e somatico, agisce anche dopo molti anni nell’adulto a livello sottocorticale e inconscio strutturando le fondamenta neurobiologiche del metabolismo di base quali la respirazione, il battito cardiaco, la digestione, i circuiti neurali ed endocrini, modellando così strutture fondanti della personalità come la capacità di autoregolazione degli affetti o la facoltà di relazione interpersonale. (Schore A. 2003)
Gli imprinting che influenzano i livelli profondi dell’architettura fisiologica organica e di quella neurale encefalica mandano segnali e impulsi che modificano il modo in cui l’individuo può entrare in contatto con la realtà. Le memorie perinatali possono plasmare le strutture neurali divenendo così i pilastri sui quali si costruiscono attraverso i vari stadi dello sviluppo le neuropersonalità (Panksepp J. et al. 2014), le capacità di adattamento e le facoltà intellettive dell’individuo.
Studi epidemiologici e recenti ricerche attestano la rilevanza dei processi di metilazione nella trasmissione di fattori epigenetici fin dalla prime fasi del concepimento. Appare chiaro inoltre che fattori di stress vissuti dai genitori durante la gestazione, eventi traumatici durante la gravidanza e il parto, condizioni avverse nei primi mesi di vita e nella prima infanzia possono influenzare a livello epigenetico lo sviluppo neurale del neonato, la risposta del sistema immunitario e la regolazione dell’asse dello stress (ipotalamo-ipofisi-surrene) causando una disregolazione neurofisiologica di base, fattore predisponente per possibili disturbi quali allergie, obesità, ipertensione, problematiche endocrine, circolatorie, del cuore o problemi psichiatrici come disturbi bipolari, disturbi depressivi maggiori, autismo, schizofrenia. (Faa et alii, 2016)
Ampliando la visione dell’umano dall’epifenomeno malattia alle radici dalle quali arrivano i sintomi e i disturbi, possiamo comprendere che spesso non abbiamo a che fare solo con differenti tipi di patologie ma con problematiche che hanno complicato i differenti stadi dello sviluppo, la nostra stessa ontologia: varie disfunzioni di tipo cognitivo o comportamentale potrebbero essere generate da difficoltà occorse negli stadi evolutivi primari dispiegatisi a livello intrauterino e radicate a livelli più profondi rispetto a quelli neocorticali. Stati di ipervigilanza o dissociazione correlati ad un iperattività cronica dell’amigdala possono compromettere seriamente le facoltà basilari di attenzione, concentrazione e neurocezione. Questi potrebbero invero segnalare priorità legate ai livelli più profondi delle funzioni cerebrali correlati allo sviluppo fetale dei circuiti del tronco encefalico investendo le dinamiche di integrazione tra connessione alla sensorialità corporea e naturale sviluppo del sistema nervoso autonomo.
Alti livelli di ormoni dello stress generati dalle esperienze vissute dai genitori o dalla sola madre nel periodo della gravidanza possono danneggiare alcune funzioni del tronco encefalico e generare nel sistema difficoltà di connessione e di accesso alle sensazioni corporee che possono perdurare nell’individuo adulto riducendolo in uno stato allostatico di stress continuo. Questo spesso può essere associato all’incapacità di riconoscere, sintonizzarsi e coregolare con facilità le proprie e le altrui emozioni. E’ chiaro che se non prendiamo contatto e non riusciamo a sviluppare una comprensione cognitiva dei nostri stati di sofferenza e di gioia, o ne siamo totalmente sopraffatti, potremmo essere anche del tutto incapaci di provare empatia nei confronti degli stati emotivi degli altri esseri viventi. Se poi nella persona sono presenti altri blocchi che coinvolgono in maniera più generale la corteccia prefrontale laterale, area connessa alla possibilità di comprendere come ci sentiamo fisicamente, è possibile che altre funzioni dell’emisfero destro siano meno accessibili alla consapevolezza e si possa avere grandi difficoltà a vedere il contesto o l’essenza delle cose.
I fattori perinatali potenzialmente nocivi possono essere suddivisi in due gruppi principali:
- fattori materni – possono includere la malnutrizione, assunzione di cibi o sostanze tossiche (alcool, fumo, droghe), esposizione ad agenti inquinanti, stress, depressione, ansia, incapacità di autoregolazione degli affetti, incapacità di portare un adeguato contatto fisico e contenimento somatoemotivo (…)
- fattori fetali – possono riguardare esperienze di ipossia o anossia, insufficienza placentare, prematurità, basso peso alla nascita,farmacologizzazione della madre o del bambino e tutti i fattori che riguardano il ritardo di crescita intrauterino. (…)
Evidenze scientifiche di decenni di ricerca evidenziano come lo stress vissuto dalla madre in ambito perinatale, testimoniato da alti livelli di cortisolo, è trasmesso direttamente al feto e al nascituro (Talge et al. 2007), influenzandone la struttura psiconeuroendocrina e condizionando potenzialmente il corso dell’intera vita in risposta ai diversi agenti ambientali. (Fatima et al. 2017)
Tra gli effetti degli alti livelli di cortisolo da stress della madre in gravidanza, sul bambino e nelle prime fasi dell’infanzia, numerose pubblicazioni annoverano: ridotto peso alla nascita, minor tasso di crescita fetale, alterazione del battito cardiaco fetale, incremento di malformazioni congenite, aumento dei parti prematuri, aumento degli aborti spontanei, predisposizione all’ipertensione, alla sindrome metabolica, ai disturbi cardiovascolari, al diabete, deficit dell’attenzione/ iperattività.
Pur prendendo in considerazione un’ampia varietà di concause, i disordini nella trascrizione proteica e nella replicazione del DNA generati dalla metilazione incorsa come risposta a fattori ambientali avversi, sono oggi considerati come fattori caratteristici legati alla moltiplicazione e al comportamento delle cellule tumorali.
Cambiamenti epigenetici occorsi in ambito perinatale possono contribuire a promuovere disfunzioni al sistema neurovegetativo che causano l’insorgere di attacchi di panico, stati d’ansia, depressione, emicranie, problemi al sistema immunitario, in una complessa interazione tra fattori biologici ed ambientali. Modificando le neuro personalità e le facoltà somatosensoriali dei singoli individui, questi potranno dar vita a coppie di genitori a loro volta in difficoltà coi loro piccoli, propagando le suddette problematiche mediche e sociali per generazioni.
Negli umani e negli animali la metilazione sembra essere un fattore correlato alla deprivazione dai bisogni primari e alla mancanza di amore.
Psicologia prenatale, perinatale e della nascita
Nel 1924 il filosofo e psicanalista austriaco Otto Rank, nel libro “Il trauma della nascita”, diede all’esperienza di venire alla luce il primo approccio sistematico in Occidente.
Fu il primo a sostenere l’esistenza di una vita psichica fetale e a considerare l’evento della nascita e della separazione dalla madre come possibile precursore dello sviluppo di impulsi inconsci e dell’insorgenza di sintomi anche in età adulta. Anche Frank Lake, psicologo e teosofo del secolo scorso, sosteneva insieme a numerosi suoi colleghi che ciò che può influenzare di più la vita di un adulto sono le memorie riconducibili al concepimento e ai primi tre mesi di gravidanza.
Dagli anni ’70 infatti, la sensibilità per i primi stadi della vita umana iniziò a svilupparsi nella cultura occidentale con l’ampliarsi degli studi sull’attaccamento, le ricerche neonatali e attraverso la psicologia prenatale. Pietre miliari di questo diffondersi di interesse e consapevolezza furono libri come “La nascita senza violenza” di Frederick Leboyer del 1969, “Vita segreta prima della nascita” di Thomas Verny del 1981 ed “Encounter with the Unborn” di Peter Fedor-Freybergh del 1989.
Poichè le vicessitudini perinatali sono legate a stadi primari preverbali di evoluzione, i primi setting psicoterapici furono basati soprattutto su esperienze terapeutiche di regressione guidate da figure ormai storiche nell’ambito della storia della psicologia dello scorso secolo come Arthur Janov, Stanislav Grof, William Emerson, Jon & Troya Turner, Terence Dowling ed il già citato Frank Lake.
Negli anni successivi a seguito di tali studi furono fondate numerose società scientifiche interdisciplinari come l’International Society for Prenatal and Perinatal Medicine nell’Europa centrale, l’Association for Prenatal and Perinatal Psychology and Health in Nord America, l’Associazione Nazionale di Psicologia e di Educazione Prenatale e l’Organisation Mondial pour l’Education Prénatale nei paesi del Mediterraneo. (Janus L. 2018)
Imprinting e dinamiche relazionali nella diade mamma-neonato
Così come l’assenza di un contatto fisico adeguato, anche una separazione duratura come la permanenza in incubatrice o altre esperienze stressanti per il neonato e per l’ambiente che lo accoglie, possono generare conseguenze durature.
I risultati ottenuti dall’Infant Research confermano che l’attivazione fisiologica, costituita da un insieme di indici fisiologici come l’EEG, la frequenza cardiaca e la respirazione, usata come riferimento per cogliere l’esperienza interna del bambino, è anch’essa influenzata dal processo relazionale.
Gli studi condotti da Field dimostrano come autoregolazione e regolazione interattiva tra madre e bambino costituiscono un sistema interdipendente.
Questo significa che tutte le esperienze fatte a partire dal concepimento, fino ai primi anni dopo la nascita, non solo hanno un’influenza su come le persone, una volta adulte, saranno in relazione con sé stesse, con il proprio corpo e con gli altri; ma che lo stesso organismo ne sarà influenzato nella sua capacità di autoregolazione di fronte agli eventi della vita.
La relazione come luogo di cura
Se, come abbiamo appena visto, le esperienze legate al concepimento, alla gestazione e alla nascita possono generare cambiamenti nei circuiti biochimici e neurali, possiamo anche ipotizzare che questi possano essere a loro volta modificati da altre esperienze. I ricercatori affermano infatti che, al contrario delle mutazioni genetiche, le alterazioni epigenetiche sono potenzialmente reversibili (Mc Gowan 2010).
Troviamo conferma di questo potenziale trasformativo nelle psicoterapie umanistiche, come la Psicoterapia della Gestalt, che vede nella qualità della relazione il centro della cura dell’individuo. Qualità della relazione che offre spazio, luogo e tempo a nuove esperienze organismiche consistenti e riparatorie.
Essa considera il fatto che i sintomi di ogni persona hanno avuto origine all’interno di una relazione significativa, sono vissuti che la persona percepisce come «intrapsichici», in quanto ha dimenticato di averli appresi come reazioni adeguate nei confronti dei passati fallimenti relazionali. Ricreando, in contesti relazionali adeguati, come può essere in psicoterapia o in gruppi esperienziali di crescita personale, il contesto relazionale del sintomo, è possibile dare un aggancio concreto al quale collegare tali vissuti. Questo permette alla persona di diventare consapevole delle distorsioni percettive che gli impedivano di vivere e costruire diversamente le sue relazioni attuali. L’esperienza è un processo che avviene al confine tra l’organismo e l’ambiente. Essa comprende più aspetti: il luogo in cui organismo e ambiente si incontrano; il modo e il tempo in cui entrano in contatto; il successivo ritiro dal contatto; l’assimilazione dell’esperienza risultante. Il fine di questo processo è la crescita dell’organismo.
Viene confermata l’importanza della relazione come luogo della cura, come luogo in cui facendo esperienza dell’altro facciamo esperienza di noi stessi o, come accade nei più profondi interventi psicoterapeutici, attraverso l’esperienza dell’essere-con l’altro, cambiamo l’esperienza di noi stessi nel mondo.
Come affermato all’inizio di questo articolo, la qualità, la durata nel tempo e l’intensità delle esperienze e degli stimoli ambientali possono cambiare le configurazioni dei geni inibendone o attivandone il potenziale di trascrizione. Questo fa ipotizzare che, se l’organismo fa esperienze di relazione – anche attraverso il tocco, lo sguardo e il tono di voce – nuove e trasformative, queste possano inscriversi come nuove memorie cellulari, nuovi engrammi che poi andranno a creare modalità altre di interazione con l’ambiente.
Di fronte ad esperienze traumatiche precoci è importante, dunque, essere consapevoli del potere trasformativo che ha il fatto difavorire, il prima possibile, esperienze riparatorie di amore e calore per i piccolini a cui non è stato possibile evitare determinati vissuti. È fondamentale anche fornire ai genitori, il sostegno necessario per incontrare il loro dolore e aiutarli a riappropriarsi di gesti di calore, contatto e presenza.
Assume sempre maggior rilevanza, dunque, il fatto che avere una gravidanza e un’infanzia libera, il più possibile, da angoscia, paure e depressione, oltre che una nascita non medicalizzata (lì dove non sia prettamente necessario) non è un dettaglio, ma un fulcro su cui portare attenzione, presenza e cura da parte dei nuclei familiari e di tutte le persone a loro vicine.
Potremmo dire che è un vero e proprio atto di Amore che ha conseguenze profonde sullo stato di salute dell’organismo in via di sviluppo e di conseguenza, sull’intera comunità umana.
Paola Battocchio e Jerry Diamanti
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